Recensioni
“Qualche stranezza verrà accettata, qualunque cosa da te ideata”*. Questo è ciò in cui credo: nella più libera, sguaiata, forzuta e totale libertà di espressione, negli spiriti liberi che hanno voglia di mostrare il proprio lavoro al mondo.
Mi sono sempre interessata, quasi come una antropologa in missione sul campo, alle persone, ai loro comportamenti e da dove questi possano scaturire: sono un essere curioso per carattere e riverso questa mia curiosità nel mio lavoro e su chi ha la voglia e la forza interiore per creare.
Non solo: cerco sempre di immedesimarmi (questo crea in me una grande curiosità), in ciò che un artista elabora, cercando di comprenderne il carattere ed i moti dell'animo che hanno portato una persona ad esprimersi in un determinato, particolare ed unico modo.
La critica deve dare visibilità all'artista, cercando di esporre ed interpretare al meglio per il pubblico il carattere di questo, riuscendo a far emergere i motivi che lo spingono a creare e ad esporsi.
“Nessuno sarà mai come me”** scriveva Jim Morrison in un suo aforisma e così è: nessuno sarà mai simile ad un altro essere umano, nessuno avrà mai la stessa molla creativa di un altro artista ed in questa unicità è bello immergersi, farsi cullare, per comprendere il mondo e la varietà che esso contiene.
Milena Buzzoni "Wounds -Ferite", Galleria Il Punto (BO), Art City White Night 2016, 27/01/2016-04/02/2016.
Milena Buzzoni: "Wounds-Ferite", Galleria Il Punto, presentazione Art City White Night, 27/01/2016
Milena Buzzoni è portatrice di una “realtà positiva e tangibile”, come scriveva lo storico dell’arte Franz Roh nella prima metà del Ventesimo secolo, per precisare il concetto di “postimpressionismo”. In questa nuova poetica, l’oggetto è in primo piano, descrittivo, riflessivo, purista, severo, statico, silenzioso, frammentato. Questi aggettivi ben si adattano e descrivono, con un salto temporale, l’Oggetto di Buzzoni. Sculture ed installazioni dell’artista sono una fusione di oggetti del tempo, che il tempo ha toccato e l’unione con una tecnologia più moderna vicina a noi, come le luci al led.
Si professava inoltre, in quel momento storico, la “purificazione armonica degli oggetti”: gli oggetti dell’artista, come la Buzzoni, vengono recuperati dal loro limbo dimentico (della dimenticanza), ripristinati, non nell’intera loro funzione primaria, ma come funzione Altra. Perdono del loro significato originario per ritrovarne uno nuovo: sono portanza di luci e materiali più moderni rispetto a quelli dell’epoca di appartenenza e pregni di un nuovo significato.
Hartlaub, nel 1925, per descrivere una nuova tendenza “dopo l’Espressionismo”, vedeva unite due ali, due componenti, nella stessa arte: “ la prima, conservatrice fino al classicismo, affonda le radici in una dimensione fuori dal tempo…. L’altra, fortemente contemporanea…con la ricerca di affermazioni primitive, di una nervosa messa a punto di se stessi, cerca lo scoperchiamento del caos, vero volto del nostro tempo.”
Un simile tipo di unione, una simile somma di azioni, si ritrovano nelle installazioni e nelle sculture di Buzzoni. Veniamo trasportati in una dimensione a-temporale, in cui l’oggetto ritrova nuova vita cristallizzandosi nel tempo, in cui, in modo alacre, manuale, costante, con materiali diversi, viene recuperato, donandogli una nuova esistenza. Al tempo si somma la luce: speranza e continuità. Luce che illumina il mondo dell’artista e non solo; fa capolino dagli oggetti e con questi si fonde e vive creando un mondo onirico, frutto del pensiero dell’artista.
Scrive l’artista a proposito di sé e del suo lavoro: “riscopre la luce sotto forma di flusso energetico; la luce come materia evanescente che rappresenta la via dell’illuminazione trascendentale. L’artista vede emergere la luce dalla profondità dei materiali usati, rappresentativi della nostra interiorità.
Le crepe, i solchi si aprono e si accendono per raccontare la storia della vita plasmata dal tempo e mai tramontata; la luce ci viene incontro indicandoci la strada da percorrere in un messaggio di continuità e di speranza.”
Due anime che vivono la stessa opera: una luminosa ed una concreta, materiale, lignea, cartacea o metallica che sia. Speranza nel quotidiano, luce che illumina il cammino, che risveglia la coscienza ed il nostro io più profondo; in modo metaforico, con i piedi solidamente piantati nel materiale recuperato, possiamo alzare lo sguardo e seguire la scia luminosa davanti a noi, che l’artista ci propone. Come scriveva Celant: “è pertanto il muoversi a comandare l’arte…ne trasforma le apparenze durante il viaggio, fa sì che l’oggetto si impregni del contesto e del terreno d’avventura.” Una avventura, quella artistica, che ha profonde radici nel nostro io, che mai si conclude e che, governata dall’artista e partendo da questa, in modo circolare, scivola nelle vite e nelle esperienze degli altri.
Maddalena Barletta: "L'avventura dello sguardo", Torre Alberici (BO), 16/01/2016
Maddalena Barletta: "L'avventura dello sguardo", Torre Alberici (BO), 16/01/2016
Le opere di Maddalena Barletta sono accolte dalla suggestiva cornice di Torre Alberici, struttura del 1300, colonna portante della storia bolognese. Tra fascino ed imperfezione, si collocano qui lavori che ricordano muri, pietre e colori di Bologna. I tag, i graffiti, così come sono stati visti in loco per le strade della città dall’artista, vengono riprodotti su tela. La figura umana è persa nella città, si fonde con le sue pietre, perde la dimensione umana-personale per diventare anonimo scrittore della sua storia. Questi simboli moderni poi, nelle altre opere, vengono messi in relazione con simboli più antichi, più remoti, arcaici. Reperti generazionali, di ogni epoca vengono messi a confronto in ogni opera: si fondono così tag a simboli tratti da pitture rupestri, a rune, a lettere della scrittura sumera, greca ed araba, uniti ai più recenti simboli come la “@” per dimostrare che nulla dai tempi più remoti è cambiato. L’uomo contiene nel suo io più profondo una simbologia intrinseca, che è trasversale alle diverse culture e che trasmette lo stesso significato, eventualmente con una simbologia diversa. Comprendiamo quindi che oggi come allora nulla è cambiato, la necessità primaria dell’uomo è sempre la medesima: il bisogno di comunicare. Ma chi comunica cosa? Anonimi autori hanno lasciato il segno nella storia dell’uomo donandoci solo tracce: in questa esposizione sono riportate lettere, carte geografiche, libri e scritti di diverso genere, che si compenetrano nei muri/tela. Non sapremo mai chi fu l’autore di queste lettere, chi possedeva questi testi, chi usò queste carte geografiche: così nuovamente torniamo a rimuginare sulla presenza nel nostro quotidiano di anonimi autori che hanno, in qualche modo, fatto la storia del mondo. Con questo materiale a disposizione, Maddalena sente il bisogno di stratificare, comporre sovrapponendo materia e diversi materiali per creare una stratificazione ancestrale composta da strati intellegibili e collaboranti tra loro, ma che sempre si sollevano, facendo scoprire al pubblico l’arcano da loro celato. Qui nasce il bisogno di Maddalena di stratificare, scollare, riutilizzare manifesti strappati, antichi libri e lettere. Per finire, nel percorso di Maddalena, incontriamo opere in plexiglass: momento di unione tra nuovi e vecchi media, tra carta stampata e lucida, e tele e vecchie carte scritte a mano, che precedono il passaggio ad un nuovo media: la fotografia.
Il mistero della vita, della soggettività, della presenza ed assenza nel tempo, pervade queste opere e le identità sconosciute di coloro che fecero la storia e di cui a noi rimangono tracce indelebili, riecheggiano nei lavori dell’artista.
Giovanni Neri, Circolo Artistico di Vignola, presentazione mostra personale del 09/10/2016.
Giovanni Neri, Circolo Artistico di Vignola, 09/01/2016.
Giovanni Neri continua nella sua opera di interpretazione e ri-interpretazione del lavoro del bolognese Morandi. Gli oggetti del quotidiano, di uso comune, vengono estrapolati, reinterpretati e riprodotti nella loro semplice costituzione. Semplicità che li rende particolari, ce li fa osservare nella loro interezza senza l’interferenza di Altro, come ad esempio un ricco sfondo.
Affermava Morandi: “per me non vi è nulla di astratto: per altro ritengo che non vi sia nulla di più surreale, e di più astratto del reale”. Quindi ciò che ai nostri occhi può sembrare una semplificazione, una astrazione della realtà, non è altro che la stessa vera realtà interpretata dall’artista, come per Morandi, così per Neri.
Particolarità delle opere di Neri è l’aspetto materico: sia i soggetti che gli sfondi colorati possono essere tridimensionali alternandosi, dando più risalto all’uno o all’altro. La materia per Neri è sempre pastosa, per certi aspetti grumosa, granulosa e riesce perfettamente ad amalgamarsi con la parte bidimensionale del supporto. In questa occasione Neri presenta, oltre alle tele, carte a tecnica mista. Sempre materiche, intrise di pastelli a olio, “spessorate” dal colore che rende possibile anche la segnatura, la graffiatura, di queste.
Le nature morte che presenta sono di stampo classico ma con un “guizzo”: sono rivisitate, riviste. Molti stili pittorici di sommano: ci colpisce per prima l’ispirazione morandiana, a cui segue l’aggiunta di un tocco cubista e surreale.
Tratto e colore: questi sono due elementi portanti nelle carte di Neri. Un tratto deciso, vitale, un gesto che trasmette l’idea del movimento. Gli sfondi sembrano ballare e nello stesso tempo contenere gli oggetti disegnati sul foglio.
I colori sono intensi, pastosi, anche grazie all’uso dei pastelli a cera, graffiati per lasciare intravedere la luce della carta. Tratti semplici ma carismatici che ci fanno intendere il temperamento dell’artista.
In molte opere non tutto l’intero foglio è colorato e campito: queste parti incompiute, questi confini tralasciati, non curati, volutamente non completati, lasciano all’osservatore uno spazio di respiro tra la realtà e l’opera d’arte.
Familiari e tranquillizzanti oggetti della memoria e di uso comune fanno capolino dalle carte di Neri per ricordare e ricordarci la nostra solida e tangibile realtà quotidiana, aspettando che l’artista ci mostri le sue sculture.
Le nuove identità culturali
Margherita Calzoni
Il mondo è piccolo! Come non accorgersene ogni giorno di più: mezzi di comunicazione sempre più veloci, giornali in ogni lingua, 1000 canali televisivi da ogni angolo del globo!
Nelle opere da me proposte in questa mostra ho voluto inserire elementi particolari, anche esotici, provenienti da paesi stranieri, propri di diverse identità culturali o, come i simboli matematici, segni universali, che hanno lo stesso valore per ogni persona al mondo, indipendentemente dalla lingua e dalla nazionalità. Non a caso ho scelto due simboli dal significato opposto: “unione” e “diverso”; di senso contrastante presi singolarmente, uniti danno un senso di legame, fusione.
Muovendoci tra i quadri scorgiamo inoltre un ideogramma cinese, molto lontano dalla grafica delle nostre lettere e dalla nostra scrittura ma che, in un unico tratto, riassume un concetto: “Mondo”.
Sassi, linee, corde, elementi metallici che metaforicamente possono rappresentare sia le strade esistenti da intraprendere, il nostro percorso interiore, sia i continui movimenti e migrazioni di popoli. Tea proveniente dall'Iran, caffé in polvere colombiano, curcuma dall'India: un pizzico di spezie orientali! I fili del telefono simboleggiano la vicinanza e la possibile comunicazione tra i diversi popoli; uno scudo africano raffigura le nostre radici culturali più antiche. Proseguendo si scorgono sotto uno stato di gesso fogli di giornale: le notizie che contengono sono il nostro più vicino e rapido contatto con l'intero globo. Continuando: graffi, carta e colori che ci ricordano rami verdi di folte jungle tropicali o erbe secche di aride savane.
Non mi resta che da dirvi “Buona escursione” tra le mie opere, in cerca di qualche elemento, anche nascosto, che possa richiamare alla vostra attenzione elementi che raffigurano le nuove e diverse culture mondiali.
Critica a Massimo quarta
Massimo Quarta
Data astrale 1997. In quell'anno avvennero i primi avvistamenti di Farbonauti che, piano piano, invasero a suon di mostre, collettive ed apparizioni in spazi alternativi, il Pianeta Terra. Da allora, sempre più frequentemente, queste nuove creature sono apparse tra di noi.
Massimo Quarta è il medium che mette in relazione noi terrestri e questi particolari esseri, partoriti dalla sua immaginazione: egli, come un eroe ancestrale sulla strada dell'avventura pittorica, ha oltrepassato la porta della sua fantasia, passando dal mondo ordinario al mondo straordinario, presentandoci le sue creature. I Farbonauti possono essere interpretati come argonauti spaziali dell'ultimo secolo, avventurosi eroi che, spinti da ogni tipo di pulsione e curiosità, si sono inseriti nel nostro spazio, partecipando alle attività del nostro quotidiano.
La pittura di Quarta mostra colori puri, come gialli, aranci, verdi, viola e cinabri che rappresentano nel profondo il loro gioioso valore, unito ad un ritorno alle fondamenta. In sostanza, si segue la linea della formalità: il quadro viene visto ed inteso come un rito purificatore che si riempie dell'anima del pittore.
I Farbonauti possono essere visti come esseri pari a noi in un futuro industrializzato, in cui i valori e l'identità umana sono andati persi, in cui la mancanza di espressività regna sovrana, in un contesto ed in luoghi a noi familiari.
Le provocanti e sensuali Farboline, degne compagne di viaggio dei Farbonauti, sono definite da Quarta come “pessime attrici senza mimica facciale”.
Ci appare chiaro che i Farbonauti, pur simili a noi, non lo sono in toto. Una grande cavità rosacea prende ed occupa il posto del volto, sottraendone una espressività. Intendo questa scelta dell'Artista come un monito alla società: questi alieni potremo essere noi tra pochi anni. Anche mantenendo le nostre abitudini e le nostre sembianze, che non varieranno di molto da quelle odierne, saremo sempre meno disposti ad ascoltare/ascoltarci, osservare/osservarci, ma emetteremo comunque solo suoni dall'antro che porteremo sul viso, forse ultimo residuo della nostra mimica umana.
La rivolta
Ait Addi Ahmed
Eclettico Artista che ha saputo unire con armonia i colori, i segni, le fattezze e la grafica di due mondi diversi. Le immagini di una realtà quotidiana orientale si mescolano con figure della realtà cittadina occidentale in cui l'Artista vive, la città di Bologna e di cui ha assorbito il contesto ed il contenuto umano ed ambientale. Il realismo, quindi, è alla base del lavoro di Ait, che si destreggia abilmente tra arte figurativa e del paesaggio, create con diverse tecniche: olio, acrilico e pastello. Le sculture sono costruite con materiali di recupero, come legno e juta, che trovano le loro radici nei principi dell'Arte Povera. Scelta non casuale, perché questo è un movimento nato in Italia, luogo in cui Ait lavora ed ha assimilato lo strato culturale. Le fondamenta e l'ideologia dell'Arte Povera sono insite nell'animo dell'Artista: egli riesce a creare oggetti d'arte nella consapevolezza della attuale situazione socio-economica, in cui molto spesso l'Arte è divenuta una merce. Ait applica il concetto di riduzione: riduzione intesa come “re-ducere”. Ricondurre, recuperare il primario, il necessario, andare all'essenza delle cose, spogliare dell'inutile gli oggetti di ogni giorno, recuperare i veri sentimenti, le vere passioni, la vita Vera per riversarla, così come fa l'Artista, nel proprio lavoro oltre che nel quotidiano.
Critica Artistica a Davide Foschi
Davide Foschi
Il lavoro di Foschi si basa su un costante interesse per sogni e visioni, visioni materiche che si concretizzano su tela. Visioni che estrapola dal suo Io più profondo, da una ricerca di sé che necessita di essere espresso e dal bisogno indispensabile di osservare e considerare ciò che ci attornia, in cui siamo immersi, da cui siamo attratti e che l'occhio acuto di un Artista può cogliere.
I vuoti incolmabili che troviamo nel nostro cammino di vita vengono trasformati in una arte materica, estremamente soggettiva, brutale, decisa ed allo stesso tempo avvolgente.
“Tutto ciò che siamo è il risultato di ciò che abbiamo pensato” affermava Buddha. Niente di più vero e per questo motivo l'Artista è portato a gettare al di fuori di sé la propria emotività, i propri pensieri, le proprie emozioni, riversandole su un supporto. La necessità interiore che Foschi prova, è quella di descrivere il proprio Io e la società che ci attornia tramite pennello e colpi di spatola.
Nelle sue opere l'oggetto è finalmente liberato da un riferimento figurativo: la pittura anche se si presenta come informale rifiuta ogni riferimento empirico, ci concede sempre una chiave di lettura (si vedano le opere “San Giorgio ed il drago” e “Madonna con Bambino”).
Non serve un mediatore nella fase creativa: le opere ci trasmettono già importanti emozioni, addirittura l'Artista prova “a trasfigurare i delicati toni cromatici in odore, sensazione olfattiva”.
Lo stile scelto concede il piacere alla pittura della libertà di movimento, di stendere ampie superfici di colore con le tecniche, le tinte ed i materiali più disparati e disponibili al momento, a sentimento del creatore dell'opera.
L'esperienza che l'Artista crea e compie in un determinato lavoro passa direttamente nell'”Altro”: nell'osservatore. Si veda il lavoro “Ex tenebris lux”: lo spettatore si trova immobile e invischiato da questo magma di colore oscuro che, osservato più attentamente, si apre rivelandoci piccoli squarci di luminoso colore.
Nelle eleganti spatolate e pennellate dell'Artista non possiamo che perderci come in un mondo onirico che, in alcuni casi si dimostra molto vicino al mondo reale del quotidiano, dandoci comunque sempre una possibilità di evasione da quest'ultimo.
Solo un Artista può dare forma ai sogni, intesi come trasfigurazione della più vera realtà.
Raccontando il colore
Carla Battaglia
Carla Battaglia ha operato la scelta di dare “importanza al colore, in ogni sfumatura; secondaria è la forma”. Il suo stile informale mette in risalto le cromie che, come tessiture, una trama ed un ordito di colore, si intrecciano su tela. Nelle geometrie e nelle sovrapposizioni di tele che si percepiscono, troviamo a volte, impercettibili immagini che ci vogliono essere trasmesse, nascose tra macchie di colore e linee.
La forma, in questo caso, spesso spetta a noi trovarla, percepirla, scoprirla, se proprio ne sentiamo il bisogno, tra i colori, le morbide superfici di tela e le ombre fluttuanti.
“l'idea della forma” è un altro elemento importante nel lavoro dell'Artista: se dobbiamo avvistare un oggetto questo è destrutturalizzato. Immagini opalescenti, eteree, traspaiono da piani sovrapposti di colore. Colore che, come un pilastro portante dell'opera, è sempre al centro della scena, con tonalità eleganti e sempre molto positive.
Linee
Rubens Fogacci
Il genere figurativo che l'Artista ci propone, trae ispirazione dal fumetto: un linguaggio composto di codici. Il primo è quello dell'immagine, formato da illustrazione, colore e prospettiva; il secondo è la temporalità, che possiamo vedere sviluppata nei lavori di Rubens da quando iniziò il suo percorso.
Non per forza le raffigurazioni devono essere la rappresentazione della “perfezione”, anzi, l'Artista rappresenta i soggetti scelti con questo stile per oltrepassare un canone estetico comune e patinato, tralasciando una sbagliata ricerca della perfezione stilistica, per mettere a nudo l'aspetto interiore di questi.
Guardando i dipinti di Fogacci ci si deve rendere conto di quanto la nostra attenzione debba cadere sull'essenza delle cose, sul contenuto rappresentato e non fermarsi ad osservare cromie accattivanti.
Ricordare: questa è la parola chiave. Come un Lazzaro moderno, Rubens resuscita, attraverso il suo lavoro, nelle nostre menti standardizzate ed affievolite dai continui bombardamenti mediatici di un mondo “perfetto” che mai ci rispecchia, le nostre paure, sentimenti, emozioni, che abbiamo sotterrato nel nostro io profondo, nel nostro inconscio e che devono essere risvegliate dalle opere dell'Artista.
Fogacci è un creativo che ha dentro di sé un impulso naturale a riversare la sua forza nelle potenti linee cromatiche e materiche che compongono i suoi lavori e che rispecchiano il suo stato d'animo. Le rappresentazioni di Rubens sono più che reali, oggettive, scavano all'interno dei tratti umani, di noi stessi, per estrarne l'essenza.
Presentazione 1
Francesco Visalli
Questa opera è la più rappresentativa in quanto descrive e simboleggia la vita dell'Artista. La valigia è un grande contenitore che racchiude e raccoglie ogni momento e stato d'animo trascorso da Visalli; questa è sorretta dalla mano del padre, presenza tutt'ora costante nell'esistenza del figlio. Le piccole figure all'interno della scatola compongono le iniziali dell'Artista: alcune si coprono gli occhi, le orecchie e la bocca per mostrare che il protagonista ha visto, udito e detto troppo o troppo poco; altre mimano e mostrano diversi stati d'animo. A sinistra della valigia troviamo, rappresentata in simboli, la voglia di libertà ed espressione, la speranza che si rinnova. A desta di questa si scorge una perfetta e nuovissima città. Questa simboleggia l'Io presente di Visalli: è interessato a conoscersi profondamente, a riuscire a convivere con sé stesso, a scoprire ogni lato della sua personalità.
Presentazione 2
Francesco Visalli
Secondo Heidegger l'essere dell'uomo è da considerarsi come dasein, ossia un essere in mezzo alle cose, che partecipa alla vita del mondo, rinunciando ad una esistenza contemplativa. Credo che la vita e l'arte di Vasalli sia da considerarsi come dasein: la sua esistenza, avventurosa, vissuta appieno e varia, che lo ha portato naturalmente ad esprimersi con l'arte della pittura, concorre positivamente ad elevare il tenore di vita degli uomini e li soccorre nel loro lavoro quotidiano. L'Artista non produce solo un Arte contemplativa o ammirativa ma genera una voglia di partecipazione attiva nei confronti della realtà che ci circonda. Il lavoro di Vasalli non è una astrazione ma la proposta di una nuova realtà, che si ciba e fortifica delle esperienze vissute, riproponendole su tela.
Osteria
Francesco Visalli
Solitudine. Come ne “L'assenzio” di Degas, gli stati fisici e mentali si traducono in uno sguardo carico di emozioni che cerca, quasi come una moderna sibilla, di individuare in un vetro il proprio destino, sperando che il contenuto di questo lo aiuti prima a raggiungere questo scopo. Vuoto. Lo sguardo del soggetto che cerca, in un punto dello spazio che tende all'infinito, un appiglio, una motivazione, uno scopo per continuare a vivere questa vita.
Le nozze
Francesco Visalli
Nell'ordinata folla e nelle ordinate geometrie solo due sono i reali protagonisti: gli sposi. La porta in fondo alla sala celebrativa, che le linee ed i colori ci conducono a scorgere in risalto, nasconde e cela il futuro dei giovani. Con quale stato d'animo i due varcheranno la soglia? Con che spirito accetteranno o combatteranno il futuro che gli attende? A noi, che non siamo invitati alla cerimonia se non come lontani spettatori, non è dato sapere!
Rimpianto e speranza
Francesco Visalli
Un uomo solo, attorniato dal peso delle sue decisioni, siede in primo piano, come per farci partecipi del suo stato. In lontananza tre figure: persone realmente conosciute o il simbolo metaforico di decisioni, concrete e dure, che l'<eroe dell'opera ha deciso di inseguire. Nuovamente però, nelle sue vicinanze, rinasce la speranza sotto forma di albero. La natura, primordiale presenza nell'esistenza dell'uomo, accompagna la vita e la rinascita di questo.
Musicista letterato
Francesco Visalli
Nel profondo il rigoroso spazio si confonde con un sinuoso pentagramma, base feconda del linguaggio musicale in questa sorta di volta celeste che avvolge il soggetto. Sempre al centro dell'opera l'Uomo con il bisogno, necessario, primario e profondamente radicato, di esprimere il proprio Io.
Poeta errante
Francesco Visalli
Simbolo del pellegrino è il lungo mantello che lo riveste e lo ripara dalle intemperie. Intemperanze del clima come quelle che si incontrano nella vita quotidiana. La necessità di avere un momento per sé, per poter riflettere e chiarire ciò che si vuole veramente, ciò che ci è necessario del superfluo. Ad ogni persona saranno capitati momenti simili. Nella vasta solitudine che avvolge il personaggio ancora una volta troviamo la natura impersonificatasi in albero: salvifica presenza e simbolo di speranza.
Colazione da Tiffany
Francesco Visalli
Desiderio per i fugaci piaceri o ricerca di una solida e consistente realtà? Sempiterna dicotomia nell'esistenza umana. Traendo ispirazione dal famoso film di Blake Edwards, l'Artista si pone davanti ad una scelta: vivere accrescendo sé stessi, curandosi degli altri o interessarsi solo di ciò che è apparenza. Due modi di vivere la vita agli antipodi e per questo incompatibili.
Paesaggio 1 - Il Borgo
Francesco Visalli
Spazio alla pace, all'armonia, ai colori vivaci ed ai cieli sereni che non portano tempeste. Finalmente nel borgo, centro nevralgico della vita dell'Uomo, ambiente in cui si estrinseca e condivide la quotidianità con il gruppo, appare in quiete. L'ambiente che ci circonda, comunque, risente sempre dei nostri umori, influenzandoci e facendosi influenzare dalla nostra presenza. Carpe diem! Cogliamo questo sereno momento e viviamolo pienamente.
Rimembranze
Francesco Visalli
Una lunga via che svolta e, come spesso accade nelle opere di Visalli, la figura umana è protagonista dell'opera presentata. La circolarità del percorso, la circolarità delle stelle nella volta celeste ci fanno ricordare che la vita, molto spesso ci fa percorrere un tragitto circolare. Iniziamo partendo da un punto, da uno stato, da un luogo, per poi trovarci catapultati nello spazio futuro senza conoscere ciò che ci aspetterà per poi, molto spesso, ritrovarci dopo un lungo periodo ad avere e vivere le condizioni da cui eravamo partiti inizialmente. In lontananza, oltre questa strada, scorgo la speranza e la voglia di vivere.
Doppiezza
Francesco Visalli
Essere sé stessi, liberi da condizionamenti, capaci di esprimere la nostra più viva personalità è la cosa più difficile da realizzare, soprattutto in un mondo che troppo spesso si basa su cliché, status o apparenza per decidere il valore di un Uomo. In questa opera di Vasalli, come un monito, si percepisce il bisogno e la voglia di non essere più personaggi ambivalenti, di tralasciare la nostra vera essenza per poter così essere apprezzati da chi ci circonda.
Visioni 1
Francesco Visalli
In questo spazio surreale enormi figure, che ricordano primitive statue, si stagliano dallo sfondo. Queste, come nel tema proposto dall'opera “Anima Gemella”, sono complementari, simbolo della ricerca della nostra metà mancante. L'uomo è sempre alla ricerca di un quid che lo completi, lo faccia sentir vivo e parte del mondo che popoliamo. Figure in secondo piano sembrano osservare dall'alto queste entità accoppiate, forse sperando di essere altrettanto fortunate nel trovare un compagno.
Visioni 3
Franceso Visalli
Uno spazio, un percorso, sia questo un luogo aperto o un interno, un viale od una scala. Percorso come tempo passato, come una valigia di ricordi ed esperienze che ci portiamo sempre, idealmente, con noi. Viale come cammino di ricerca, sia questo un ideale, una speranza, un bisogno. Scala come voglia di elevarsi, di crescere, superare i propri limiti, di conoscere noi stessi e l'universo che ci circonda. Nelle “Visioni” di Vasalli interpreto così, in questo modo, i simboli con cui ha disseminato il suo lavoro; visioni che tendono ad approfondire la natura umana, sempre al centro del lavoro dell'Artista, come una ricerca di sé stesso, per sé stesso e per noi che ne osserviamo il lavoro.
Pan d'oro
Francesco Visalli
Questa composizione rispecchia la fiducia, la gioia di vivere che noi umani riponiamo nella vita quotidiana. Numerosi simboli di buon augurio si intravedono e intrecciano in questo “albero della cuccagna” o “catena umana” qui rappresentata. Troviamo il ferro di cavallo, la borsa che significa lavoro o guadagno, fiori e frutta per l'abbondanza e la prosperità; una lampadina, propulsione luminosa che rappresenta la creatività. In questa opera traspare la fede e l'attesa di un risvolto positivo nell'esistenza dell' individuo, la speranza che mai cade e che molto spesso, si appoggia ad oggetti o simboli nell'auspicio che questa venga incrementata da i “magici” poteri di questi.
Anima gemella
Francesco Visalli
L'Uomo, da sempre, si aggira solitario nel creato, alla ricerca dell'altra metà di sé stesso. In questa opera finalmente, l'agognato incontro avviene. Il trittico fa combaciare le tre parti , giungendo ad un incastro perfetto, all'amore totale, assoluto, completando la ricerca di questo indissolubile legame. Dopo lunga osservazione, analisi ed esame, da ultimo, l'uomo ha completato la propria natura e sostanza.
Alba di madame Chisciotte
Francesco Visalli
Moderna Walkiria, coraggiosa ed orgogliosa, pronta a battersi per qualsiasi questione di principio ritenga essenziale. Spesso esagerata in ogni campo, si ritrova a combattere contri famigerati mulini a vento, come fece il suo alter ego maschile nel romanzo di Cervantes, simbolo di difficoltà passate che ne hanno indurito il carattere. In questo spazio sconfinato Madame Chisciotte è libera di cavalcare ovunque desideri, padrona del suo destino. A fianco a lei, sempre presente, compare la natura che avvolge la figura femminile con fiori, il suo cielo contornato dall'arcobaleno, le sue rupi e le sue valli. Non ci appare chiaro il futuro di questa combattente: abbiamo sicuramente la certezza che la sua irriducibile forza la porterà avanti, facendole superare ogni difficoltà ed imprevisto.
Infinita storia d'amore
Francesco Visalli
”Infinita storia d'amore” narra la posizione dell'artista nei confronti di Dio: l'amore per questo e la fede sono il soggetto dell'opera. Vediamo qui rappresentati numerosi simboli religiosi: il Tempio, la figura di Maria, il Giardino dei Getsemani, la conca contenente gli inferi e gli Eletti, in alto, ad osservare noi uomini. Una figura umana, ben distinta ma isolata da ogni gruppo ci fa intendere quale sia la posizione di Visalli nei confronti della Fede: un uomo che ha creduto saldamente, ha perso il proprio credo ma spera ancora e ritiene, come tutti noi, che sia ancora possibile salvarsi e ricongiungersi alla figura di Dio.
La stanza del suicida
Francesco Visalli
Due mondi che si incontrano: il freddo e grigio ambiente esterno alla stanza, che non ha saputo accettare, cogliere, cullare la persona mancata. Un mondo colorato e curato all'interno della camera, fatto di volti famigliari, senza bocche, che nulla hanno da dire per l'improvvisa e sconcertante perdita. Gli oggetti di uso comune, tutti ben riposti, sembrano aspettare speranzosi il ritorno del loro proprietario. Una lettera, sola su di un tavolo, forse aspetta di essere aperta e letta da qualcuno dei presenti, nella speranza di riuscire a dar voce agli ultimi pensieri e sentimenti, sensazioni di colui che la ha composta.
Caos cosmico
Francesco Visalli
Il mondo dei nostri sogni di bambini. Uno spazio libero ed in movimento, disposto ad essere plasmato a nostro piacimento. Un universo futuro, passato o fantastico, a seconda di come lo si voglia interpretare. Un universo onirico, quieto e stravagante, dove ogni essere ha l'opportunità di sfogare e liberare la più nascosta immaginazione.
La valigia
Francesco Visalli
Questa opera è la più rappresentativa in quanto descrive e simboleggia la vita dell'Artista. La valigia è un grande contenitore che racchiude e raccoglie ogni momento e stato d'animo trascorso da Visalli; questa è sorretta dalla mano del padre, presenza tutt'ora costante nell'esistenza del figlio. Le piccole figure all'interno della scatola compongono le iniziali dell'Artista: alcune si coprono gli occhi, le orecchie e la bocca per mostrare che il protagonista ha visto, udito e detto troppo o troppo poco; altre mimano e mostrano diversi stati d'animo. A sinistra della valigia troviamo, rappresentata in simboli, la voglia di libertà ed espressione, la speranza che si rinnova. A desta di questa si scorge una perfetta e nuovissima città. Questa simboleggia l'Io presente di Visalli: è interessato a conoscersi profondamente, a riuscire a convivere con sé stesso, a scoprire ogni lato della sua personalità.
Riccione
Ait Addi Ahmed
Colori di un sapore lontano, fattezze eleganti, radicate profondamente nella cultura dell'Artista che si mescolano con influenze della pittura europea. L'opera di Ait è raffinata, dai colori caldi della sua terra e da figure che sembrano avere fatto un viaggio in un paesaggio della patria dell'artista. Ecco: proporrei questa interpretazione degli individui che popolano le opere di Ahmed: turisti europei in viaggio per terre lontane, in un periodo storico ormai molto distante da noi, alla ricerca dei particolari, dei sapori, dei profumi e delle sfumature di una terra ricca di abbagliati tonalità. Non è possibile e credo nemmeno giusto, dimenticare le proprie origini ed escluderle drasticamente, soprattutto nell'atto creativo, quando il nostro Io più profondo viene riversato al di fuori di noi. Il grande merito che ha l'Artista è quello di portare sempre con se i propri ricordi, i propri colori, le immagini del suo mondo e saperle unire al contesto in cui oggi, tuttora vive: la città di Bologna.
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Marco Aimone
Essenziale, succinto, con stile rapido , asciutto. Questa è stata la prima idea che ho avuto vedendo i lavori di Marco, ricordando magari neon, insegne luminose viste di sfuggita da un finestrino di una macchina in velocità, luci intermittenti di giocattoli di quando ero bambina. Artista informale con stile incisivo, di linee e colori con un ritmo serrato che sfumano in un profondo nulla fuori campo: la tela in questo caso non dà un limite al nostro occhio, anzi, ci fa spaziare con lo sguardo nel profondo dell'immagine proposta. E' il punto di inizio che ci fa riflettere e chiedere che cosa ci sarà oltre a quel colore, oltre a quelle linee, volendo quasi affondare una mano tra esse per carpirne la consistenza.
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Teresa Ancora
Il lavoro che Teresa svolge come professione prende spunto dalla sua arte o forse è il contrario?
Credo che Ancora abbia avuto la fortuna di riuscire a conciliare, o almeno riuscire a trarre ispirazione, dal lavoro e dall'arte che crea, perché hanno, in fin dei conti, una linea comune: l'Artista crea oggetti vetro e ceramiche. I colori usati sono quelli dello spettro del visibile: si va dal nero antracite più cupo, ai colori più sgargianti, acromatici vasi, fino ad arrivare alla leggerezza ed alla trasparenza del vetro più scintillante. Teresa sicuramente ha carpito i segreti e la tecnica del suo lavoro per poi poter riutilizzare queste basi nel creare forme particolari ed originali quali sono le sue sculture. Avere conoscenze tecniche è molto spesso utile nella vita ed in questo caso credo che l'Artista non potesse usarle al meglio per dare sfogo alla propria fantasia e creatività.
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Marisa Bellini
La pittura di Marisa coinvolge ed attrae per la sua semplice immediatezza: troviamo raffigurati soggetti confortanti ed appartenenti al quotidiano, che a tutti noi è capitato di scorgere, e nature morte garbate ed eleganti. I colori sono estremamente positivi e vivaci, lasciando percepire il carattere dell'Artista: pur facendo una introspezione dei soggetti scelti raffigurandoli, c'è sempre spazio per una riflessione poetica. Nelle sue opere figurative, siano esse sacre o profane, rappresentanti le persone più comuni, magari colte in momenti di vita quotidiana, abbiamo sempre, in lontananza, la presenza della natura o di un contesto che lega il soggetto ad un particolare luogo e momento. Non trascuriamo poi le opere informali: attraente il suo approccio perché carico di arcaiche energie interiori.
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Sauro Benassi
Lunga è la strada della vita, inaspettatamente molte volte piena di bivi, scelte da compiere o più semplicemente attitudini o preferenze da seguire. Così è stato per la carriera artistica di Sauro: ha attraversato tre fasi artistiche fondamentali che, attualmente, si sono concretizzate nella fase “Darshan” e nelle opere così intitolate. Le tele sono state sostituite con legno per riagganciarsi al tema della natura, molto a cuore a Benassi e da cui trae ispirazione. Dopo una lunga ricerca sulle filosofie orientali, l'Artista ora sta sperimentando colori, sempre molto armoniosi e ben dosati, che colpiscono, attraggono, scuotono l'osservatore. I movimenti, le ondulazione e il ballo che Sauro crea con essi ricordano una danza remota, antica, che appartiene espressamente alla natura e che ci culla e ci fa ondeggiare con lei rapendoci ed incantandoci nell'osservazione del lavoro dell'Artista.
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Franca Bianchi
Il percorso di Franca inizia dopo le scuole superiori, con l'incontro di due maestri bolognesi, Casile e Fontanesi, da cui apprende le tecniche del disegno a matita, acrilico ed olio. Nel 2006 scopre, con il maestro Canaider, la tecnica dell'acquerello, che in questa sede ci propone. Ho sempre amato l'acquerello per le magiche atmosfere che crea, acquose e leggere visioni, in cui si può giocare con i colori, mescolandoli, sovrapponendoli, facendo risaltare trasparenze e luci. L'artista riesce egregiamente in questa tecnica, molto complessa, dando senso di profondità all'opera e traghettandoci in quel surreale mondo fatto di immagini che sfumano, segni più decisi e che poi si sfumano nuovamente, cullandoci nelle onde dei suoi tratti incantati, in quel mondo fatato e delicato composto di immagini onoriche.
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Blu Kobalto
L'arte di plasmare la materia e di renderla espressiva appartiene a poche persone: una di queste è Claudia, in arte Blu Kobalto che ha acquisito e creato, tramite numerose esperienze e contatti con scuole e maestri, un suo proprio stile. L'artista è una maestra nella vetrofusione, vetro che si intreccia e si fonde con il ferro che lo sorregge, un materiale leggero e fragile contro un materiale pesante e resistente. Due apparenti elementi inconciliabili che si mescolano in armonia e convivono serenamente. Il materiale metallico crea una avvolgente armatura protettiva nei confronti del vetro, insieme: eternamente fragili ed eternamente indistruttibili.
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Laura Bracchi
Giovane Artista di Bologna, che dall'età di diciassette anni si appassiona al mondo dell'arte. Frequenta corsi disegno a matita presso l'atelier del maestro Casile. Prosegue poi nello studio del disegno a matita ed incontrando il maestro Canaider apprende le tecniche dell'acquerello, tecnica che per me è tanto espressiva quanto difficile da servirsene. Ora frequenta diversi stage presso maestri di acquerello, tecnica molto amata, apprendendone i diversi segreti e sperimentando la tecnica stessa. Da sempre ama ritrarre il corpo umano e la figura, cercando di estrarre il contenuto di ogni soggetto, mettendo in luce ogni aspetto interiore oltre che esteriore: cerca di estrapolare l'anima da ogni individuo raffigurato.
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Massimiliano Casula
Massimiliano è un Artista autodidatta, qui alla sua prima esperienza espositiva.
L' ”omaggio a Keith Haring” è eseguito con una particolare tecnica, il mosaico con guscio d'uovo, da lui studiata, elaborata e messa a punto negli anni. Questa particolare lavorazione richiede peculiare pazienza e manualità, in quanto ogni singola tessera è ricavata da piccoli pezzi di guscio che dopo una lunga lavorazione di pulitura ed asciugatura, vengono colorati. In seguito poi verranno incollati su un supporto su cui è stato fatto il disegno del soggetto scelto. Come dice il detto “la pazienza è la virtù dei forti”: un grande in bocca al lupo a Casula!
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Paolo De Luca
“Amore disperato” cantava Nada anni fa. Ho pensato, erroneamente ho compreso poi in seguito, a questa canzone quando ho visto l'opera “Amore” e spiego il perché. Il colori danno un profondo senso di gioia, infondono un grande senso di speranza, sono avvolgenti, caldi come il sole della terra da cui proviene L'artista. I due volti sono allineati, quasi vicini ma tra di loro improvvisamente compare un ramo. Una fronda che potrebbe fare da divisorio tra i due amanti, rendendo impossibile il loro incontro. Osservando più attentamente il tralcio si scorgono improvvisamente su di esso gemme... quindi l'Amore sta per sbocciare come i fiori su di esso. Allora il sentimento del titolo da disperato diventa più che possibile, realizzabile, fresco! In sostanza dall'opera di De Luca non può che uscire un grande senso di positività.
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Rodolfo Fincato
Fincato ha frequentato l'accademia di belle arti di Venezia, si è dedicato all'insegnamento di educazione artistica, organizzando laboratori di ceramica, pittura, scultura e fotografia. Dopo 35 anni di insegnamento decide di dedicarsi alla sua arte. La scultura in vetro “Penelope”, qui presentata, ci offre linee fluide, lisce e trasparenti. La tecnica usata è antica, riproposta con colori sgargianti, ci offre toni smaglianti che creano idea di movimento, una figura sinuosa che ci può ricordare l'epica Penelope intenta al lavoro di tessitura.
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Rubens Fogacci
Lo stile di Rubens è tipico e caratteristico, riconoscibile al primo sguardo, soprattutto quando ci accostiamo alle opere che hanno come soggetto il corpo umano. Il corpo si deforma a suo volere e piacere e, in puro stile fumettistico, mette in risalto ogni piccolo difetto, caratteristica o particolarità che lo contraddistingue. Ogni pennellata, ogni gesto istintivo, rapido e materico cattura ciò che noi conteniamo; che sia paura, gioia o tranquillità. In questo senso potrei definire l'Artista quasi come uno “Psicologo dell'arte”: mettersi davanti a lui, al suo cavalletto ed ai suoi colori (che sempre esprimono voglia di vivere, solarità e sicurezza, come è proprio del carattere del ragazzo), vuole dire far rispecchiare la propria anima su tela. Dopo che è stata operata questa lettura interiore, ci si rivede come davanti ad uno specchio.
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David Fontani
L'Artista proviene dal mondo della musica e, dopo una decina di anni passati come chitarrista di una band, prova il bisogno di trovare un altro mezzo per esprimere se stesso. A causa di un viaggio acquista la sua prima reflex e da quel momento è amore al primo scatto. Si dedicherà dal 2001 alla fotografia, per David insostituibile mezzo di comunicazione che meglio delle parole esprime il suo essere, le sue emozioni ed il suo pensiero, incentrando la sua ricerca sulla donna ed il corpo femminile. Dal 2004 si concentra sul progetto “Foemina”, incernierato sulla figura femminile, che viene ritratta in ogni sua sfaccettatura, sempre in modo raffinato. Scatti in cui la donna si mette in gioco tramite gesti spontanei ed una libera espressione del proprio corpo, esaltando la propria personalità in una miscela di “eros, intimità e malizia”.
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Antonio Gandossi
Liberi dal tempo e dallo spazio, seguiamo con lo sguardo le forme ed i colori che ci propone l'Artista. Fluttuando in questa superficie, in questa larga zona che per la mente non ha limiti, come in una altra dimensione, cerchiamo il significato degli elementi che ci vengono proposti. Elementi sempre riconoscibili, che in modo solare, giocoso ci vengono proposti in modo semplice: non fraintendete, non per questo semplicistico. Non dobbiamo farci ingannare dalla semplice, candida, schietta facilità con cui possiamo riconoscere gli elementi delle opere di Antonio: ciò che ai nostro occhi spesso ci appare banale in realtà nasconde più piani di lettura ed una profondità espressiva ed emotiva che solo uno spirito acuto può cogliere. Per questo invito l'osservatore ad immergersi nell'opera, a sprofondare nei magici e calorosi colori, a nuotare insieme ai tratti dell'Artista in modo da penetrare a fondo nella magica ed incantevole creatività di Gandossi.
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Giusi Gramegna
Perpetuamente appassionata d'arte, Giusi dipinge nel suo studio ad Atella, in provincia di Potenza, ha all'attivo un proprio sito internet, dove raccoglie il suoi lavori. Dal 2006 partecipa a concorsi, personali e collettive. L'opera qui esposta è un olio intitolato “La scelta”. Con la scelta di uno stile tra il figurativo ed il surreale, vediamo comparire tra onde di colore e materia, delle soffici immagini. Il tono del cielo si amalgama con il colore delle vele e del mare, in un amabile insieme di luci, di tinte pastello che trasmettono pura calma e serenità, tinte che, ben scelte, danno un grande senso di profondità all'immagine.
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Stefano Guzzetti
Bolognese, chimico industriale per professione e pittore per passione.
L'opera presentata da Guzzetti, intitolata “Tango”, in questa occasione è puramente figurativa, stile adottato dall'Artista. Due figure che danzano, con espressioni assorte, incantate dalla musica che si stagliano e si avvolgono in uno sfondo di colori travolgenti, che ricordano le sgargianti luci di un palcoscenico.
Essere un chimico ha sicuramente aiutato Stefano, che mescola con sapienza, come un alchimista di altri tempi, i colori e le forme, costruendo un insieme armonico.
Critica 14.05.2011
Carla Battaglia
CARLA BATTAGLIA: “RACCONTANDO IL COLORE”
Carla Battaglia ha operato la scelta di dare “importanza al colore, in ogni sfumatura; secondaria è la forma”. Il suo stile informale mette in risalto le cromie che, come tessiture, una trama ed un ordito di colore, si intrecciano su tela. Nelle geometrie e nelle sovrapposizioni di tele che si percepiscono, troviamo a volte, impercettibili immagini che ci vogliono essere trasmesse, nascose tra macchie di colore e linee.
La forma, in questo caso, spesso spetta a noi trovarla, percepirla, scoprirla, se proprio ne sentiamo il bisogno, tra i colori, le morbide superfici di tela e le ombre fluttuanti.
“l'idea della forma” è un altro elemento importante nel lavoro dell'Artista: se un oggetto dobbiamo percepire questo è destrutturalizzato. Immagini opalescenti, eteree, traspaiono da piani sovrapposti di colore. Colore che, come un pilastro portante dell'opera, è sempre al centro della scena, con tonalità eleganti e sempre molto positive.
Margherita Calzoni